A Piacenza c’è un tesoro che non è fatto di metalli o pietre preziose, eppure viene custodito nel caveau di una banca. Il suo valore è dato dai versi che lo compongono e dalla sua storia, lunga quasi 700 anni. Il Codice Landiano 190, conservato dalla Biblioteca Comunale Passerini-Landi di Piacenza, è considerato il più antico manoscritto di data certa della “Divina Commedia”, risalente al 1336. Ci siamo fatti raccontare la sua storia dal bibliotecario Massimo Baucia che ha l’onore e la responsabilità di studiarlo e maneggiarlo: «Nel colophon finale troviamo la dichiarazione del copista Antonio da Fermo che riferisce di aver copiato di propria mano il testo della Commedia su richiesta di Beccario Beccaria, all’epoca miles dell’Imperatore e podestà di Genova».
Dopo la morte di Beccario, il manoscritto è stato probabilmente rimasto all’interno della famiglia Beccaria, ma per lungo tempo non si sono avute sue notizie: «Riappare molto tempo dopo, tra il ‘600 e il ‘700, a Parma presso il cavaliere Artaserse Baiardi che era un funzionario della corte farnesiana. Poi la traccia successiva risale al 1819, quando il marchese Ferdinando Landi lo acquista e lo inserisce nella propria biblioteca». Il manoscritto, ormai noto alla comunità degli studiosi, resta lì fino a quando nel 1872 l’intera biblioteca del marchese confluisce nella Biblioteca Comunale Passerini-Landi.
Il codice landiano non contiene solo i versi della “Divina Commedia”, al suo interno sono presenti anche la canzone di Dante “Le dolci rime d’amore ch’io solia” e alcuni sonetti di Guittone d’Arezzo. Inoltre, dopo il colophon si incontrano i capitoli di Bosone da Gubbio e Iacopo Alighieri, una sorta di sunti della “Divina Commedia”, che aiutano nella comprensione dell’opera. Grazie alla guida di Massimo Baucia è possibile esplorare le altre peculiarità del manoscritto: «Il codice non è miniato, dunque non presenta decorazioni particolari. Le uniche illustrazioni sono le tipiche rappresentazioni a cerchi concentrici dell’inferno dantesco. Il testo è scritto su due colonne in una scrittura bastarda cancelleresca, mentre la lingua risente di una lieve influenza marchigiana vista la provenienza del copista che è originario di Fermo».
Come detto all’inizio, il manoscritto è custodito a Piacenza nel caveau di una banca. Così vengono garantite le condizioni di sicurezza necessarie e sono però rispettate anche quelle microclimatiche, che sono mantenute stabili perché la temperatura e l’umidità e persino la luce possono essere fattori di usura. Pur essendo giunto fino a noi in buono stato di conservazione, si tratta di un tesoro delicato e che ha bisogno di una certa cura, per questo motivo viene esposto al pubblico solo in occasioni particolari come mostre anniversarie o concesso alla consultazione consultazione soltanto per studi per i quali non sia possibile fare riferimento alle riproduzioni digitali.
I manoscritti come il Codice Landiano non sono fossili della letteratura, solo esemplari di libri antichi da catalogare e preservare. Portano con sé la storia degli uomini che li hanno realizzati, sfogliati, letti. Una storia che di mano in mano è arrivata fino a noi: «È sempre emozionante maneggiare il manoscritto – afferma Massimo Baucia – non soltanto perché al momento si tratta pur sempre del codice più antico di data certa ed esplicita della Divina Commedia (tali record possono essere talora annullati dai risultati di altri studi) ma per la consapevolezza di avere a che fare con qualcosa che ha fatto la storia ed è stato importante per le persone che lo hanno prodotto e conservato nel tempo. A noi spetta il compito di preservarlo e tramandarlo».