Oggi si celebra la Giornata mondiale della Radio, una ricorrenza istituita dall’UNESCO che quest’anno giunge alla sua undicesima edizione. La radio resta uno dei media più utilizzati e affidabili al mondo – secondo diversi rapporti internazionali – per questo il tema scelto quest’anno è “Radio and Trust”, ovvero “Radio e Fiducia”. L’obiettivo è quello di sensibilizzare il pubblico sul valore sociale della radio. In occasione di questa giornata, il Centro per il libro e la lettura ha intervistato Edoardo Camurri, scrittore, giornalista e voce di Radio 3. Con lui abbiamo seguito il filo che unisce radio e letteratura indagando le potenzialità della parola, che sia letta o ascoltata.
Qual è il rapporto tra radio e letteratura?
«Il rapporto che c’è tra radio e letteratura è quello che c’è da sempre tra chi parla e chi ascolta. Il sedersi intorno a un fuoco, raccontare una storia, ascoltarla. E una volta ascoltata raccontarla a qualcun altro davanti ad un altro fuoco. Insomma, la radio e la narrazione riproducono un bisogno e una ritualità antichissima ed è ciò che dà valore e senso al comunicare e all’essere comunità. Ho parlato del fuoco non a caso, perché anche per la lettura e per l’ascolto occorre una ritualità, una sorta di cerimonia attraverso la quale la disponibilità a raccontare e ascoltare diventa un momento significativo di possibile uscita dal mondo».
Cosa vuol dire oggi parlare di libri in radio?
«Parlare di libri in radio significa riuscire a condividere con le ascoltatrici e gli ascoltatori le idee, le emozioni, l’entusiasmo e le scoperte che ciascuno di noi fa e metterle a disposizione di tutti. La radio e la comunicazione letteraria comprendono la ripetizione di un gesto molto umano, ovvero quello di condividere con l’altro il piacere della scoperta. Secondo me c’è una forma di entusiasmo e di partecipazione collettiva che poi diventa una sorta di comunità in grado di condividere le parole e le idee. Questo è l’aspetto che sta alla base della vita culturale. E i libri sono uno dei modi in cui possiamo conoscerci e fare comunità. Anche la radio, quando viene fatta con uno spirito di servizio e di onesta partecipazione, mette sempre al centro la condivisione».
La pandemia, attraverso l’isolamento, ci ha fatto riscoprire il valore intimo della lettura e dell’ascolto?
«La condizione pandemica ha un po’ ridisegnato il modo in cui noi abbiamo a che fare con gli atti che ci caratterizzano come umani. Io penso che quegli atti siano ancora più forti rispetto alle condizioni che noi di volta in volta ci troviamo a vivere. Faccio un esempio raccontando un episodio personale. Soprattutto durante il primo lockdown c’era un po’ la fatica nel leggere narrativa perché non c’era più la sospensione dell’incredulità. Quando leggevi dei personaggi di un libro che uscivano, andavano al cinema, andavano al ristorante, si baciavano, viaggiavano… Quelle cose lì non sembravano più conformi alla realtà che stavamo vivendo in quel momento. La pandemia e il lockdown hanno rimesso in discussione il nostro mondo e quindi anche il modo in cui leggiamo i libri, che sono a loro volta un modo in cui il mondo si manifesta».
Nella sua rubrica sul Foglio parla spesso di “macchina algoritmica”, i libri e la radio riescono a sfuggire alla gabbia invisibile dell’algoritmo?
«In teoria sì, ma in pratica la questione è più complicata. Nel momento in cui a governare e indirizzare i nostri comportamenti è un sistema raffinato come la “macchina algoritmica” tutto questo è molto difficile. Già il sistema editoriale basato sul marketing aveva fatto quasi sparire la figura dell’editore che pubblicava i libri secondo il suo gusto personale o le sue intuizioni, oggi l’algoritmo ha affinato ancora di più la targettizzazione dell’utente con il rischio di chiuderci tutti in una bolla. In questa situazione, i libri e la radio sono strumenti che potenzialmente ci consentono di sfuggire a questa gabbia. Quando parliamo di libri, ognuno di noi ha la sua personale libreria che racconta la sua storia attraverso i libri che abbiamo letto e amato. E a loro volta i libri contengono le storie che sono scritte al loro interno e le storie degli autori che le hanno scritte, in un processo che continua all’infinito. Per affrontare la “macchina algoritmica” bisognerebbe far esplodere le potenzialità ancora inespresse, che essendo inespresse non sono controllabili dalla “macchina algoritmica”. E i libri in questo caso sono una risorsa straordinaria. Lo stesso vale per la radio. Il gesto che si fa quando si cambia stazione è una metafora meravigliosa per descrivere una teoria della meccanica quantistica sugli infiniti mondi paralleli. Proviamo a immaginare la nostra realtà come un singolo canale radio, basta muovere piano piano la manopola per sintonizzarsi su infiniti mondi che sono presenti parallelamente alla nostra stessa realtà. La radio offre la possibilità di sintonizzarsi su infinite frequenze che non sono solo quelle che la “macchina algoritmica” di volta in volta ci propone seguendo i suoi interessi».
Ciclicamente il libro e la radio vengono dati per “morti”, superati dalle nuove tecnologie. Alla fine, anche mutando, riescono sempre a trovare nuova vita: secondo lei qual è il futuro dei libri e della radio?
«Bisognerebbe chiederlo ai libri e alla radio perché noi non dobbiamo considerarli come oggetti ma come soggetti. Le tecnologie non sono strumenti ma sono soggetti che determinano la vita di noi umani. Proverei a togliere dal centro noi perché non siamo così sovrani delle tecnologie come crediamo e non saremo noi a determinare o a definire il loro futuro».